Vincenzo Guarracino “L’immaginazione” luglio – agosto 2015


Non è una raccolta di liriche, Eros, il dio lontano. Visioni sull’Amore in Occidente (La Vita Felice, Milano 2013) di Lidia Sella: è qualcosa di più e di meglio. È un poema che alcuni titoli giustapposti, esattamente 17, suddividono in capitoli, stavo per dire in libri. Titoli come Cosmo innamorato, Processo a Eros, Un’etica di gruppo, Nostalgia di Eros, Afrodite alla deriva, Nella gabbia del femminismo, Il filo di Arianna, Ostaggi della Notte e il conclusivo L’almanacco dei sogni, danno già a un dipresso l’idea del contenuto complessivo e tradiscono l’ambizione di comprendere e descrivere fenomeni fisici e spirituali su fondali solo apparentemente mitici e astratti. Una “crociera nel cuore dell’enigma”, come afferma l’autrice in un capitolo essenziale, Nostalgia di Eros: un’avventura insomma nella zona impervia e oscura dove Tutto ha origine, nel mistero stesso su cui si fonda la Vita, condotta con l’ausilio di una conoscenza partecipe della mitologia ma anche della scienza.

Un poema cosmogonico, innanzitutto, ma anche, conseguentemente, antropologico, sociologico, psicologico, che ha per protagonista un’entità divina che governa nel bene e nel male, in presenza o in assenza, la storia umana a livello sia collettivo che individuale; un poema svolto dal punto di vista formale in un flusso di coscienza, attraverso un labirinto di immagini animate da un’intima forza e coerenza fantastica: si può circoscriverne così contenuto e forma, con modelli e ascendenti da riconoscere molto lontano, nei poeti-filosofi presocratici o nel latino Lucrezio, ma filtrati attraverso la passione molto moderna di una che, per dirla con Mallarmé, ha letto tutti i libri e sente la tristezza della carne.

Come dire che, se da fondali mitologici si parte non è per immettere la propria avventura di parola in uno scenario semplicemente culturale, all’interno cioè della “rinascita della mitologia” che periodicamente, dall’Ottocento ai nostri giorni, ha interessato la nostra cultura, ma piuttosto per veder agire a livello di percezione e di esperienza un’immagine, un motivo “divino”, archetipico, incistato nelle coscienze, quale è Eros, il dio sì della tradizione mitica dei Greci e delle cosmogonie orfiche, che fa nascere l’amore non soltanto negli umani (in omne genus animatum, “ogni tipo di creatura”, dice Lucrezio), agitandone le menti e indirizzandone azioni e comportamenti, ma anche contemporaneamente la grande Entità, il “propellente spirituale” e psicologico, che su tutti protende la sua influenza sotto varie forme e nomi fino ad oggi.

È a lui, “demone” dai mille volti, che la poetessa soprattutto si rivolge, con il lettore quale testimone e complice della sua allocuzione: è con lui che intesse un fitto dialogo (tra vagheggiamento, invocazione, accusa, deplorazione, giustificazione), che si dipana per tutto il libro come punto di approdo di una propria lunga peripezia di pensiero, di una personale meditazione e interrogazione poetica, che segue un suo percorso fantastico fissandosi in immagini ora tenere e appassionate, ora dure, spesso memorabili, dietro cui si avvertono pulsioni tutt’altro che occasionali e superficiali, come appare anche da un’intera sezione del libro precedente, La figlia di AR (La vita felice, Milano 2011), dedicata sempre al tema dell’amore.

Proprio in questa sezione, leggiamo una definizione dell’amore come Lidia lo intende su cui conviene soffermarci. La definizione merita di essere riportata per la sua valenza formale e concettuale: “Un fluido, // l’amore: / niente dighe / né leggi / niente briglie / o scadenze – / corso d’acqua / incline al mare / dove quando morire / non sa / e nemmeno perché / o se ancora vivrà”.

Illusorio, sfuggente, inarrestabile: un fiume, l’amore-passione, che come non tollera argini, così presto può anche dissolversi, dice Lidia Sella, in una forma testuale che evoca un precipizio, tra versi brevissimi e metricamente irregolari e gli accenti forti, perentori, che contrappuntano gli ultimi tre versi, conferendo all’insieme un suggello di misteriosa paradigmaticità.

A regolare tale flusso tempestoso, solo la forza del desiderio, il sogno inquieto a occhi aperti, sciolto da ogni realtà e prospettiva, da ogni regola: al suo termine, un abisso, voragine stigia o elisio, che risucchia e rimescola nel suo vortice emozioni e pensieri e di fronte al quale chi ama si ritrova in una paradossale condizione, tra povertà e luminosa disponibilità, che fa fremere il linguaggio in quello che Leopardi chiama un “gorgogliamento” di passioni e di scrittura, destinato a produrre sul lettore un effetto energetico (“Una poesia che lascia gli affetti de’ lettori o uditori in pienissimo equilibrio, si chiama poesia?”, Zibaldone 3456).

Una forza della natura, dunque, l’Amore, irrefrenabile e incontrollabile (oltre che beffarda) e come tale da inquadrarsi all’interno delle dinamiche e delle leggi che la natura e il cosmo tutto regolano e governano: una “legge aurea e felice” (ma non di rado anche amara e crudele), per dirla col Tasso dell’Aminta, incisa nel destino dei mortali, che si trasmette, vitale seme di ordine e disordine, al cosmo tutto, sull’orbe terraqueo non meno che nei cerchi dello zodiaco e tra le astrali solitudini di costellazioni e comete, tra foreste di stelle e praterie di galassie, ma anche tra creature viventi (umane, animali e vegetali).

Lidia Sella lo vede agire all’interno dell’universo sconfinato, dove “può confondersi / e smarrirsi” persino un dio.

È per questo che prima, tra le diverse definizioni adoperate, lo si è definito, innanzi tutto, cosmogonico, questo libro, che si situa in un ordine di immagini e tematiche che fanno pensare al Leopardi più febbrilmente inteso, nella Ginestra, allo scandaglio dei cosmici ambulacri, con i loro “nodi infiniti di stelle”, rispetto ai quali la Terra e gli uomini tutti sono un nulla. Cosmogonico, perché mette in scena il modo, e come tutto ciò che esiste abbia avuto origine, incarnandolo in immagini dal valore sacrale. Una fuga dalla “calamita del nulla”, in virtù di un “impulso” primordiale ad aggregarsi, cercarsi, congiungersi, per riprodursi e crescere: consiste in questo la vita delle creature, una fuga dal Nulla verso la luce. Secondo una logica (un “piano ingegnoso”, è detto nel quinto capitolo), che trasforma e modella a sua immagine la materia, sulla spinta della ricerca del piacere, della voluptas: perché generatim (di generazione in generazione), come direbbe Lucrezio, i secoli si propaghino e si perpetuino in nome dell’Amore (non a caso il primo capitolo del libro si intitola “Cosmo innamorato”). Il nome di questo “impulso”, di questa forza, è Eros, germogliato dal ventre della Notte: “la vita”, in virtù di ciò, deve “moltiplicarsi / estendere i suoi floridi confini”, perseguendo forme e fantasmi differenti (il più nobile, l’Arte), per sfuggire alla mediocrità, all’insignificanza, non meno che all’orrore del baratro del nulla che tutti aspetta al termine del nostro ciclo vitale. “Abisso orrido, immenso, / ov’ei precipitando, il tutto oblio”, come sintetizza il Leopardi del Canto notturno, parafrasato con evidente ironia qui nel capitolo intitolato Divino mecenatismo: un espediente per rendere meno amara la vita, l’”innamoramento”, per dare l’illusione di vincere il dolore, di sconfiggere la Noia. Un “congegno” perfetto, almeno nelle intenzioni.

È perciò che le creature si cercano: per vincere il Vuoto, la Noia, i loro limiti biologici e fisiologici. Nasce da qui la Società: fatta di aggregazioni, di “parti” che si cercano, si uniscono, si scindono (“Una parte di te / è attesa altrove”), di corpi che si desiderano e si fondono (“due anime / nello stesso corpo”), mutuamente sorreggendosi o ripudiandosi, secondo codici misteriosi. È il “sortilegio” di una volontà di resistenza al rischio della sparizione: “finché ci sarà qualcuno / pronto ad amare”. Una “social catena”, davvero, che dà alla creatura la sensazione di esistere, di valere per sé e per gli altri, potenziandone le capacità intellettive e conoscitive.

Lidia Sella, questi aspetti (antropologico, sociologico, psicologico) li tratta soprattutto nel capitolo Nostalgia di Eros, un capitolo veramente centrale, evocandone nel desiderio la ricomparsa in un tempo che trama trappole e insidie, in un tempo di miserie e di deserto.

Il risultato è una rappresentazione in cui poesia, scienza e pensiero concorrono a dar voce a una visione quanto mai complessa dell’eros: pagana, sì, ma anche intimamente compresa delle proprie responsabilità civili e morali, sulla scena della nostra inquieta e lacerata modernità. È la percezione dell’amore come una forza interna che anima il mondo, come energia che percorre e vivifica ogni parte dell’universo, con un suo proprio disegno perseguito attraverso leggi segrete, ma anche consapevolezza della povertà dei tempi, dei nostri tempi, sull’orlo di un baratro di irreversibile scadimento (di valori, di energie), di quel “serraglio di disperati” (un “teatro di devastazione e di orrore”, addirittura) preconizzato dal Leopardi del Frammento sul suicidio, di cui proprio Eros è il più diretto interessato e vittima. Con l’estremo auspicio di un’utopistica rinascita nel segno di una ekpýrosis universale, di “una fiammata catartica”, come si invoca negli ultimi versi del poema: “Che imploda dunque / la nostra società agonizzante. / Una fiammata catartica”. È con questo fuoco rigeneratore che Lidia Sella ci lascia contemplando uno scenario di fuoco e cenere da cui dovrebbe risorgere come una stirpe nuova: di eroi, di uomini.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.