Odissea, aprile 2014


Diario Persiano

Iran centrale: da sud a nord

 Al termine di una settimana di viaggio a ritmi serrati – è sempre col capo velato – se ora mi volto indietro, vedo scorrere una carovana di immagini ed emozioni…

 Shiraz

Masjed-e Vakil (Moschea del Reggente): una corrente di sacralità talmente intensa da rapire anche il profano: come nel bosco di colonne della Mezquita di Cordova.

Tomba di Hafez. Al tramonto, “happy – hour” rigorosamente non alcolico. Per innamorati di tutte le età. Ma soprattutto per la gioventù locale, affamata di sensualità non virtuale. L’appuntamento fra le anime gemelle della città ha luogo in uno scenario inconsueto, cioè nel giardino dove riposa Hafez (“colui che conosce a memoria il Corano”), poeta di corte vissuto nel Trecento.

Qui un adolescente foruncoloso, accoccolato ai piedi del sepolcro di pietra, legge a mente alcuni versi di una pagina aperta a caso da una silloge del poeta. La leggenda vuole che quel che lì sta scritto si avvererà, a patto che chi implora la grazia d’amore si trovi nell’eterna dimora del vate, dove si crede aleggi il suo spirito. “Per quale motivo la gioia dell’oggi gettare al domani?” Chissà se Lorenzo il Magnifico conosceva questo verso di Hafez? La rasserenante saggezza laica che affiora in alcuni “ghazal” di Hafez mi ha ricordato i pensieri di Marco Aurelio Imperatore, filosofo stoico. Dai testi di Hafez emerge anche una matrice anticlericale: “E tu bacia due cose soltanto, poeta: le labbra e la coppa / perché grave peccato è baciare la mano ai bigotti.” Dedito ad amori omosessuali, Hafez aveva una predilezione per i giovinetti. Un vizietto che non lo abbandonò nemmeno in età matura: “Sono vecchio, ma stringimi forte una notte sul petto, / e io dal tuo abbraccio ancor giovane nasco nell’alba.”

Persepoli e Naqsh Rostam

Non si può capitare su questo pianeta senza passare di qui. A Persepoli si respira aria di eternità.

Capitale dell’impero Achemenide, fondata da Dario I a partire dalla fine del VI secolo, questa città fu distrutta da Alessandro Magno già nel 330 A.C.: una meteora di potenza e bellezza nel firmamento della storia.

I bassorilievi con il corteo delle delegazioni dei ventitré popoli assoggettati ai Persiani – fra cui Egizi, Libici, Parti, Indiani – carichi di ogni genere di doni per l’imperatore: carri, scudi, asce, lance; vesti, tessuti, bracciali; vasi, coppe, canestri; e poi agnelli, tori, antilopi, asini, cavalli, cammelli, dromedari… Mi sarei soffermata per ore a studiare le sequenze di questa pellicola impressa nella pietra, eccezionale serbatoio di informazioni di carattere storico, militare, etnografico, etc.. Una scultura didascalica, poco psicologica, tutta tesa piuttosto a tramandare la consapevolezza della propria superiorità. E l’atmosfera circostante, in questa giornata di luce perfetta (così l’avrebbe definita Pessoa), sembra ancora impregnata della solennità di quei momenti. La stessa nobile magia ariana ci accoglie a Naqsh Rostam, con le tombe di Dario II, Artaserse I, Dario I e Serse I, tutti avvolti nel manto azzurro di questo cielo indoeuropeo.

Fazargade

L’architetto che ha progettato la Tomba di Ciro il Grande ha affidato a questo monumento – austero, imponente, misterioso – un compito semplicissimo: esprimere una gloria destinata a sopravvivere per millenni. E ci è riuscito.

Interessante la testimonianza di Arriano sul comportamento che Alessandro Magno tenne nei confronti del nemico defunto: “Alessandro, cui stava a cuore visitare la tomba di Ciro, trovò che tutto era stato portato via, tranne il sarcofago e il letto; gli “sciacalli”, dopo aver levato il coperchio del sarcofago, avevano profanato il cadavere di Ciro. Alessandro ordinò di restaurare la tomba di Ciro, riporre nel sarcofago le parti ancora integre del suo corpo, metterci sopra il coperchio e murare la porticina d’accesso, intonacandola d’argilla, e con il sigillo reale. Poi fece arrestare i Magi, custodi del sepolcro, li sottopose a tortura perché denunciassero i profanatori, ma costoro si dichiararono innocenti, né fu provato in alcun modo che fossero complici del misfatto. Pertanto furono rilasciati. I Persiani accusarono allora il satrapo Orxine, che fu dichiarato colpevole di aver depredato le tombe reali. Perciò i soldati di Alessandro lo impiccarono.”

Abar Kouk

La Casa del ghiaccio, edificio di forma conica, un’architettura, a metà strada fra preistoria e fantascienza.

 Yazd

Le Torri del vento: antichissimi sistemi per rinfrescare gli ambienti in modo naturale, soluzioni ingegnose e seducenti. I nostri impianti di condizionamento d’aria, a confronto, sembrano barbare invenzioni.

Nel Tempio di Zoroastro, una sacra fiamma – accesa nel 425 – arde da quasi 1600 anni. Commovente tributo all’importanza dei simboli e alla forza degli ideali.

Torri del silenzio. I principi dello Zoroastrismo, applicati al culto dei morti, hanno ispirato la costruzione delle Torri del silenzio. Qui i cadaveri venivano esposti alle intemperie e alla voracità dei corvi, per evitare i miasmi della cremazione.

Raggiunta la torre più alta di questo sito archeologico, ho notato un adolescente sdraiato a terra, immobile, le membra abbandonate, sanguinante, in stato di semi-incoscienza. Accaldato dal sole cocente del meriggio, procedendo lento, sotto il peso della sua disperazione, è salito fin quassù, cercando proprio la casa della morte. E ha bussato alla sua porta. Quando lei gli ha aperto, le ha chiesto solo un po’ di pace e la forza di ferire il proprio corpo in più punti, con una pietra aguzza.

Tra Yazd e Isfhan

A Na’in, la Masjed-e Jameh: moschea fra le più belle e antiche dell’Iran, costruita fra il X e l’XI secolo. Suggestivo il mitreo sotterraneo.

Lungo la strada per Isfahan, ci investe una violenta tempesta di sabbia e vento. All’improvviso il nostro bus viene catapultato nel regno dell’invisibile: un ottimo inizio per un viaggio nello spazio-tempo, attraverso altre dimensioni.

Isfahan

 Mentre cammino per le vie della città, ripenso alle parole di Robert Byron ne “La via per l’Oxiana”, quando sostiene che Isfahan andava annoverata “nel numero più ristretto di quei luoghi, come Atene e Roma, che costituiscono una fonte continua di delizia per tutta l’umanità.” Come dargli torto?

Nella sala da musica all’ultimo piano del Palazzo Ali Qapu, un concerto improvvisato davvero speciale, eseguito con uno strumento d’epoca “a corda”, chiamato “taar”. Il musicista – lineamenti levantini ed espressione ispirata – gioca di fantasia su motivi tradizionali del repertorio persiano. Antico e moderno, Oriente e Occidente si sposano in queste melodie esotiche ma universali, percorsi dalla stessa vena tragica degli “Ultimi quartetti per archi” di Beethoven.

Geniale lo studio sulle proporzioni auree celate nel progetto della Naqsh-e Jahan Square, per dimensioni la seconda al mondo dopo Tien’ ammen a Pechino. A svelare l’appassionante mistero, Jason Elliot, nel sesto capitolo di “Specchi dell’invisibile – Viaggio in Iran” (Neri-Pozza, Vicenza, 2007).

Torri dei piccioni. Costruite per esigenze pratiche, eppure non prive di fascino. Qui i volatili ottengono ospitalità in cambio del loro prezioso concime: una fruttuosa società tra uomini e animali. Architettura di pieni e di vuoti, una scacchiera di tenebre e luce, sorta di viaggio iniziatico che mi ha riportato alle atmosfere narrative surreali dei racconti di Borges. (“Biblioteca di Babele” , “Giardino dei sentieri che si biforcano” ).

Quartiere Armeno, Cattedrale di Vank. Un affresco del giudizio universale in stile Hieronymus Bosch, dove il demonio mette in scena diverse, raffinate forme di supplizio. Quando i film horror non esistevano ancora, forse i fedeli saziavano così la loro sete “splatter” di sangue, mostruosità e ferocia.

Un delizioso gelato allo zafferano, nella sala da tè dell’Abbasi Hotel.

Tappeh-ye Seyalk (Sialk)

(fra Kashan e Fin)

Uno ziggurat del IV millennio. L’istinto di pensare in grande e l’impulso a creare, a prezzo di immani fatiche, opere capaci di resistere ai millenni, presuppone fede nel futuro, energia, entusiasmo, immaginazione, fattori connaturati all’infanzia dell’umanità.

 Teheran

 Una megalopoli popolosissima. Dodici milioni di abitanti, la notte. Che durante il giorno, per l’afflusso di pendolari, salgono a sedici. Una sacca infernale di traffico, smog, inquinamento e rumore.

Meraviglioso il Palazzo Golestan, con sale sfarzosissime e pareti esterne rivestite di specchi in cui si riflettono giardini incantati.

Imperdibili capolavori al Museo del vetro e della ceramica.

Teoria di tesori al Museo Nazionale,: statuina di femmina acefala, tutta cosce e mammelle (VII millennio), modellino di casa in muratura (V millennio), gigantesco lucchetto di granito (III millennio), ruota in pietra (II millennio), forchette sasanidi del 230 d.C.

Purtroppo, per un imperdonabile errore organizzativo da parte del nostro tour operator, capitiamo a Teheran nell’unico giorno in cui il mitico Museo dei gioielli, ospitato nel caveau della Banca Centrale, resta chiuso al pubblico.

Dopo tanta carne, assaggio finalmente uno squisito kebab di storione.

Anche qui alberghi spesso fatiscenti, scarsa pulizia ovunque, toilette pubbliche con bagni per lo più alla turca.

Birra analcolica: sapore dolciastro e colore equivoco, servita quasi sempre tiepida. E poi niente vino. Questo lo si sapeva. Ma almeno avevo sperato nell’acqua minerale gassata, che invece è introvabile. Così, mentre rimpiango un buon bicchiere di vino bianco, per consolarmi ripenso a una splendida quartina di Omar Khayyām, poeta e astronomo persiano dell’XI secolo d.C., appassionato di vino e di donne:

“Quando son sobrio, la gioia mi è velata e nascosta,

Quando son ebbro, perde ogni coscienza la mente,

Ma c’è un momento, in mezzo, fra sobrietà e ubriachezza…

Per quello tutto darei, quello è la Vita Vera!”


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.