Il Porticciolo, settembre 2015


Mozart e il fortepiano

Il pianoforte moderno ha un lontano progenitore: il fortepiano.

Un’evoluzione della specie che, tanto sotto il profilo della forma che della meccanica, ha seguito uno sviluppo lento e graduale. Sennonché fu l’introduzione di una cassa indeformabile in ghisa a segnare il salto generazionale dal fortepiano al pianoforte moderno, come asserito dal critico musicale Enzo Beacco. Una modifica decisiva, introdotta fra fine Settecento e primi Ottocento. Tale passaggio risulta registrato pure dalla “Garzantina della musica”, dove si puntualizza che sin al principio dell’Ottocento il termine fortepiano venne usato in alternativa con pianoforte; mentre oggi si suole definire fortepiano lo strumento settecentesco e pianoforte quello ottocentesco.

Il fortepiano fu concepito dal padovano Bartolomeo Cristofori, cembalaro al servizio del Granprincipe Ferdinando de’ Medici, a Firenze. Circa la data dell’invenzione le fonti non concordano: attorno al  ‘700; poco prima; o poco dopo.

Ma, si sa, in ambito creativo le idee tendono a migrare. Così lo spunto lanciato in Italia, venne in seguito raccolto in Germania. Sarà difatti Gottfried Silbermann, organaro tedesco di Strasburgo, a perfezionare il progetto italiano. Avvalendosi d’un consulente d’eccezione: Johann Sebastian Bach. La passione che questo grande compositore nutrì per il fortepiano deve poi aver contagiato il suo più giovane figlio, Johann Christian. Organista del duomo di Milano nel 1762, questi in effetti fu tra i primi a suonare il pianoforte da solista e – come ricorda Curt Sachs nella sua “Storia degli strumenti musicali” – nel 1768 tenne a Londra il primo concerto per pianoforte della storia. Qui, nel 1765, fu nominato musicista di camera della regina Sofia Carlotta. E, nel 1764, conobbe Mozart. Wolfgang allora non aveva che otto anni e Johann Christian Bach era sulla trentina. Eppure i due musicisti – come rammenta Piero Melograni nella sua biografia su Mozart uscita nel 2006 – suonarono insieme sulla stessa tastiera, improvvisando a turno, per oltre due ore, al cospetto di re Giorgio III e consorte.

Il musicologo Cecil Clutton sostiene che il fortepiano acquisì maggior popolarità a partir dal 1770, ovvero quando Mozart iniziò a dedicare alcune composizioni a tale strumento.

Davvero speciale il rapporto di Mozart col fortepiano.

Konstanze, moglie di Mozart, ricorda: “Non componeva mai al pianoforte , ma scriveva la musica come scriveva le lettere e provava un pezzo solo quando era compiuto.”

“Terminata la sua composizione, egli amava suonarla o alla moglie, che spesso doveva cantarla con lui, oppure agli amici”, come chiarisce Hermann Abert nella sua monumentale biografia su Mozart.

A quei tempi si usava improvvisare al pianoforte – anche durante i concerti – un’arte nella quale Mozart eccelleva. E non solo in pubblico. Nell’intimità della sua casa, seduto al pianoforte, volentieri s’abbandonava al capriccio della creatività, libero dall’affanno del comporre, talvolta persino in totale solitudine. Affidando allo strumento i frutti del suo divino ingegno. Senza nulla fermare sulla carta.

Interessante la testimonianza di Franz Xaxer Niemetschek, filosofo boemo autore di una biografia su Mozart che uscì a Praga nel 1798: ”Mozart trascorreva intere notti al fortepiano; queste erano le ore nelle quali nascevano i suoi celesti canti. Nella pace e nel silenzio della notte, quando nulla distrae i nostri sensi, la sua immaginazione s’accendeva,  dispiegando l’intero patrimonio dei suoni che la natura aveva concesso al suo spirito. Qui Mozart era tutto veramente sentimento e suono, qui sorgevano dalle sue dita le più splendide armonie! Solo chi ha ascoltato Mozart in queste ore ha conosciuto tutta la profondità e vastità del suo genio musicale: libero e sciolto da ogni cura materiale, il suo spirito levava l’audace volo verso le più alte regioni dell’arte.” Impressioni che richiamano alla mente la definizione coniata da Hoffmann per la musica di Mozart:.”Presagio d’infinito.”

Ambros Rieder – direttore del coro a Perchtolsdorf – annota nelle sue memorie: “Chi può immaginare la mia meraviglia quando ebbi la fortuna di udire l’immortale Mozart variare e improvvisare al fortepiano? Si trattava di un modo di creare del tutto inconsueto. Anche i più esperti nell’arte dei suoni non trovavano parole sufficienti a esprimere la loro ammirazione per le altezze e le profondità toccate dall’audace volo della sua fantasia. Ancora oggi, da vecchio, sento risuonare in me queste celesti, incomparabili armonie, e me ne vado con la convinzione che è esistito un unico Mozart.”

Dopo la morte di Mozart, Haydn – con le lacrime agli occhi – affermava di non poter dimenticare Mozart al fortepiano: “Andava dritto al cuore!”

L’epoca d’oro dei Concerti per pianoforte – sottolinea Massimo Mila in un  saggio del 1945 – si ha a Vienna, dove Mozart si assicura una fama eccezionale come virtuoso. In una lettera al padre (28 dicembre 1782) egli annunziava d’averne quasi ultimata una serie, e così li descriveva: “ Stanno fra il difficilissimo e il molto facile; sono brillanti, gradevoli all’orecchio, naturalmente senza cadere nel banale; qua e là anche i conoscitori possono avere la loro soddisfazione, ma così che i non conoscitori devono essere contenti senza sapere perché.”

Ci si affollava dunque per seguire i fantasiosi sentieri dell’anima tracciati da Mozart con l’aiuto del fortepiano. Egli si esibiva tuttavia con meno passione davanti a un pubblico incompetente o distratto. In una lettera al padre Leopold, spedita da Parigi il primo maggio 1778, dichiara: “Mi dia il miglior fortepiano d’Europa, ma come auditori gente che non capisce nulla e che non partecipi con me a quello che sto suonando, e perderò ogni piacere.”

“Nulla lo irritava tanto” – ci svela Niemetschek – “quanto l’irrequietezza, il rumore o il chiacchericcio in sala. Di solito così mite e gioviale, quest’uomo allora esternava francamente il suo sdegno. Una volta si alzò furioso dal fortepiano e abbandonò gli ascoltatori disattenti.”

Occorre tener presente che all’epoca di Mozart il pubblico di teatro era assai indisciplinato: mangiare, bere, chiacchierare, ridere e persino amoreggiare…durante lo spettacolo, tutto era consentito.

Mozart pretendeva invece che lo si ascoltasse con attenzione, in religioso silenzio. Precorrendo i tempi, reclamava per l’artista quel rispetto che oggi è ritenuto doveroso.

Che stranezza: le orecchie di Mozart mancavano di lobi; e la forma del padiglione sinistro era piuttosto insolita. Quasi che madre natura avesse voluto in qualche modo contrassegnare un talento musicale così portentoso… La finezza del suo udito resta comunque leggendaria.

Proverbiale l’aneddoto riportato da Schachtner, trombettiere di corte a Salisburgo e amico di famiglia. Amadeus, che allora era un bimbo di quattro o cinque anni, gli consigliò di far intonare il violino di un mezzo quarto di tono… Diagnosi che, naturalmente,  si rivelò corretta e puntuale.

Il suo formidabile orecchio musicale lo guidò anche nella scelta degli strumenti, indirizzandolo senza fallo verso quanto di meglio il mercato poteva offrire.

Stein e Walter – nel ventennio 1770 -1790,  i più quotati sulla piazza. – non a caso furono i fornitori di fortepiano prediletti da Mozart.

A ventun anni Mozart si trova ad Augusta e, dopo aver visitato la bottega  di Stein, in una lettera del 17 ottobre 1777 spedita al padre, spiega: ”Prima … i fortepiani di Spath erano i miei prediletti, ma ora preferisco gli strumenti di Stein (…). E’ vero ch’egli non vende un fortepiano sotto i 300 fiorini, ma la fatica e la diligenza che ci mette sono impagabili. I suoi strumenti hanno uno speciale vantaggio… possono smorzare il suono. Solo un produttore su cento si preoccupa di questo aspetto (…) Quando Stein ha terminato uno di questi strumenti (come mi ha detto lui stesso) egli si siede alla tastiera e prova ogni sorta di passaggi (…) finché il fortepiano non gli ubbidisce in tutto, perché lui lavora per migliorare la musica e non solo per il proprio il profitto. (…) I suoi fortepiani durano davvero. (…) Quando ha pronta una cassa armonica,  la espone all’aria, alla pioggia, alla neve, all’ardore del sole e a tutti i diavoli perché si spacchi. Poi inserisce dei cunei nelle crepe, li incolla all’interno e lo strumento diventa forte e resistente. Quando il legno si spacca è contentissimo, dato che così è proprio sicuro che non potrà più accadere nulla in futuro.” Andreas Stein, grazie a questo ingegnoso sistema di fabbricazione, diventò uno dei più celebri costruttori tedeschi di fortepiani. Organista e figlio di un costruttore di organi, prima di aprire un suo laboratorio, aveva lavorato sia da  Silbermann che da Spath. Morì nel 1792, neanche tre mesi dopo Mozart. Dal 1794 la ditta venne trasferita a Vienna, ma la produzione di fortepiani si mantenne fedele ai criteri artigianali già collaudati. A gestire l’attività di famiglia, fino al 1804, furono il figlio Matthäus Andreas e la figlia Anna Maria detta Nannette, affiancata dal marito Andreas Streicher, compositore e pianista, nonché buon amico di Beethoven. .

Dopo gli Spath e gli Stein, Mozart userà anche fortepiani fabbricati da Anton Walter.

Nato vicino a Stoccarda, nel 1778 Anton Walter si trasferisce a Vienna e qui avvia la sua bottega. Nel 1780 sposa Anna, vedova con due figli dell’organaro Schöffstoβ. Nel 1800 associa all’impresa il figliastro Johann Joseph. Una curiosità: da metà aprile alla fine dell’estate, Anton si trasferiva nel suo podere di campagna, dove vestiva i panni dell’agricoltore. Ma potendo contare sulla collaborazione di una schiera di allievi, il lavoro non subiva mai interruzioni. Nel 1790 la sua maestria artigianale gli valse il prestigioso titolo di “Costruttore di organi e strumenti della Imperial Regia Corte.”

Mozart possedeva un fortepiano firmato Anton Walter, ora esposto nella casa museo di Salisburgo. Lo acquistò attorno al 1782. Vi accenna pure suo figlio Carl, in un appunto vergato nel 1855: “Mio padre voleva che questo strumento fosse sempre nel suo studio (…) lo utilizzava in tutti i concerti, sia a corte, sia per il culto, sia in teatro.” Mozart lo usò come una sorta di pianoforte portatile. Leopold Mozart, ospite di Amadeus a Vienna, in una lettera del 12 marzo 1785 alla figlia Nannerl, nel descrivere la frenetica attività concertistica cui Wolfgang si sottopone, riferisce: “Il fortepiano a coda di tuo fratello è stato spostato da casa a teatro o a un’altra casa, almeno 12 volte da quando sono qui.”(dall’11 febbraio, ndr).

In una fredda giornata avvolta dai colori d’autunno, anche noi abbiamo potuto ammirare alcuni esemplari di fortepiani Stein e Walter, ospitati a Briosco, in Brianza, nei saloni affrescati della splendida villa di Fernanda Giulini. Imprenditrice di professione, melomane e pianista, questa donna volitiva ma al tempo stesso romantica e solare, da qualche anno s’è lanciata nell’affascinante mondo del collezionismo di strumenti musicali d’epoca.

A trascinarla in quest’avventura esaltante hanno senz’altro contribuito la sua inesausta sete di conoscenza, il piacere raffinato di costruire attorno a sé una costellazione di oggetti bellissimi, nonché la gioia di afferrare quelle emozioni misteriose che solo i suoni antichi sanno ancora sprigionare. La raccolta – in parte ospitata nell’abitazione milanese – conta già una sessantina di pezzi, sapientemente illustrati nel catalogo intitolato “Alla ricerca dei suoni perduti”, curato da  Jhon Henry van der Meer e pubblicato nel novembre 2006.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.