Il Giornale, 26 giugno 1998


La moda come la Doxa, sa tutto di noi

In una pagina del suo Diario notturno Ennio Flaiano scriveva: «La moda è l’autoritratto di una società e l’oroscopo che essa stessa fa del suo destino…». Sino agli anni ’70, la moda fungeva da ascensore per accadere ai piani alti di una società di tipo piramidale; nel corso degli anni ’80, ha assunto una connotazione più democratica e si è trasformata in una specie di arcipelago, ove ciascuno era portato a esprimere la propria predilezione per un’isola stilistica in particolare; sul principio degli anni ’90, si è tramutata in una sorta di scacchiera, con il consumatore che saltava un po’ qua e un po’ là, andando a occupare due o tre caselle al massimo, quelle più congeniali ai suoi gusti e alle sue esigenze; attorno alla metà di questo decennio, infine, ha iniziato a funzionare come una metropolitana, con la gente che si sposta di continuo da una stazione all’altra, mossa dal desiderio divorante di indossare nuove marche e sperimentare abbinamenti inusuali, in una costante esplorazione di sempre diversi stili di vita. Questo lo scenario descritto dal sociologo Francesco Morace in Fashion Subway, stimolante quaderno di riflessioni estetiche (Editrice Modo). L’abbigliamento, che in passato rappresentava uno «status-symbol», oggi viene invece ritenuto da molti uno strumento ideale per comunicare inclinazioni personali e valori profondi. Basti pensare a quanto è mutata, ultimamente, la percezione del colore: le tonalità cromatiche del vestire, un tempo, costituivano un «diktat» imposto dall’alto; adesso si preferisce parlare piuttosto, di «psyco-wear», attribuendo al colore la valenza di una grammatica esistenziale cui si affida il racconto di un personalissimo universo di umori, emozioni, attitudini morali. Tramontata l’epoca del «total-look», è subentrata una sempre più complessa stratificazione degli stili. La sete di novità ha perso un po’del suo vigore e punta alla ricerca di prodotti che, al di là della componente formale, si dimostrino realmente innovativi in termini di contenuto. Perciò appare superata quella logica dei cicli brevi e brevissimi che imponeva di giudicare «out» persino capi di vestiario acquistati magari soltanto poche settimane prima. L’informazione superomologata che i media diffondono a ritmi martellanti ha generato il fenomeno della globalizzazione dei mercati e, di conseguenza, tutti attingono l’ispirazione dallo stesso serbatoio. Non sempre, tuttavia, gli «input» comuni sono destinati a soccombere nell’appiattimento massificante: gli schemi di partenza danno luogo, talvolta, a magistrali rielaborazioni, e ciò si verifica più che altro quando le proposte originarie entrino in contatto con singoli individui dotati di forte personalità, oppure con gruppi etnici caratterizzati da una fiera identità culturale. In pratica però, come si veste la gente che si incontra in giro per le strade di tutto il mondo? Francesco Morace, coadiuvato dal «Fashion Future Concept Lab» di Milano, istituto sociologico specializzato in studi di ricerca sulle tendenze di consumo più avanzate, centro che opera sotto la sua direzione, se l’è chiesto. In tale ambito è nata «Streets-signals» («I segnali della strada»), un’indagine a largo raggio, coordinata da Valentina Ventrelli. Questo ambizioso progetto – decollato nel ’95 e giunto ora alla sua IV edizione – coinvolge trenta località campione, disseminate in quindici Paesi differenti. Fra esse, figurano non solo le maggiori metropoli internazionali, ma anche città come Bologna, Cannes, Valencia, Lubiana. Il collegamento viene garantito da una rete di cinquanta corrispondenti qualificati, incaricati di tenere sotto controllo locali pubblici, salotti privati e punti di aggregazione in genere, con l’obiettivo di fornire al «Fashion Future Concept Lab» immagini, notizie e informazioni interessanti. Nel caso specifico, il pianeta Terra è stato suddiviso in cinque vaste aree geografiche. Ecco, in sintesi, i risultati. L’Europa dell’Est è un mercato in grande espansione e qui le multinazionali spadroneggiano, rastrellando i frutti di imponenti campagne commerciali. Le tribù giovanili, coi loro codici estetici mediati dallo sport (surf, roller, skate) e dalla musica (break, pop, rap) sono quelle che più fanno tendenza. Analoga situazione ritroviamo in Sud America, altro continente dove i giovanissimi sono la maggioranza (in Colombia, il 60% della popolazione ha meno di 25 anni!). Negli Usa, va molto lo stile informale e lo sport-wear in versione urbana. In Estremo Oriente, materiali, colori e fogge rivestono un’importanza fondamentale, probabilmente in ragione dello spiccato senso artistico che anima questi popoli dalle tradizioni millenarie. In Europa, infine, c’è un po’ di tutto: l’attenzione per le sfumature, la mania dell’abbinamento perfetto, il gusto per gli accessori, l’attenzione verso la griffe e, soprattutto, una dirompente voglia di trasgressione.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.