Rinascita, 12 aprile 2007


Contro il matrimonio

“Si ha sempre qualcosa di più urgente da fare che sposarsi; cielo, a me è sempre capitato così!”. Parola di Nietzsche. “Se temete la solitudine, non sposatevi’. Il suggerimento viene da Checov. “Le uniche donne che vale la pena di sposare, sono quelle che non ci si può fidare a sposare”. Firmato Cesare Pavese. E questo è solo un piccolo assaggio. Ma sul matrimonio ne sono state dette tante e, da che mondo è mondo, le mogli hanno rappresentato uno dei bersagli preferiti del sarcasmo maschile. Il re spartano Leonida, a chi gli chiedeva perchè avesse sposato una donna tanto minuta, era solito rispondere: “Dovendo in ogni caso prender moglie, ho scelto il male minore”. Per non dire dello sfogo di Euripide nella famosa invettiva di Ippolito: “E’ chiaro che la donna è un grosso guaio, se il padre, che l’ha generata e allevata, aggiunge una dote, e la colloca in un’altra casa, pur di liberarsene”. Una misoginia che, nel passo successivo, si fa ancor più violenta: “La cosa migliore è avere in casa una donna da nulla, inutile nella sua stupidità. La donna saputa la odio. Non me ne capiti in casa una che pensi cose più grandi che a donna conviene”. Più laconico, sebbene altrettanto icastico, Archiloco ci spiega che “donna è piaga patente a mettersela in casa”. Nel topoi della “donna-flagello” è rimasto impigliato pure Semonide, come dimostra la sua godibilissima satira contro le donne, che dal Leopardi fu tradotta con impareggiabile arguzia: “Il più gran male che Dio fece è questo: le donne. A qualche cosa pare che servano, ma per chi le possiede sono un guaio”. E, non contento, aggiunse: “Chi sta con una donna non trascorre neppure un giorno in santa pace, (…) e quand’uno s’illude di godersela per buona sorte o per favori umani, quella mugugna e affila le sue armi. E sarà meglio, quando arriva un ospite, non ospitarlo dove c’è una donna. La più santarellina all’apparenza è proprio quella che ti disonora: il marito, minchione, a bocca aperta – e i vicini si godono la beffa”. Insomma, come direbbe Oscar Wilde, “le donne sposate sono le più passionali. Peccato che i mariti non lo sappiano”.

Sin qui, un bel repertorio di battutine al vetriolo. Eppure, c’è anche di peggio.

Terribilmente velenoso, Prezzolini sentenzia: “La moglie ha la sua posizione sociale segnata tra la serva e l’amante, un po’ più in su della serva e un po’ più in giù dell’amante”. Se possibile ancora più acido il Marinetti, quando afferma che “la famiglia costituita dal matrimonio senza divorzio è assurda, nociva e preistorica, e assomiglia quasi sempre a un carcere o a una tenda di beduini, con la lurida mescolanza di vecchi, invalidi, donne, bambini, porci, asini, cammelli, galline e sterco”. Ennio Flaiano, con pungente ironia, fa notare che: “In amore bisogna essere senza scrupoli, non rispettare nessuno. All’occorrenza, essere capaci di andare a letto con la propria moglie”.

In definitiva, se il coinvolgimento amoroso può raggiungere il suo apice nel periodo che precede le nozze, sembra davvero che il “fatidico sì” abbia viceversa il potere di fiaccare anche le passioni più resistenti. Il povero Massimo Troisi amava ripetere: “Non è che io sia contrario al matrimonio. È che l’uomo e la donna sono le persone meno adatte a sposarsi”. Un modo come un altro per ribadire il concetto che prima o poi, per un motivo o per l’altro, il matrimonio finisce inevitabilmente per trasformarsi in un inferno terreno, in un ergastolo dei sentimenti che di solito ha poco da spartire con le gioie dell’amore. A questo proposito, torna alla mente “Belfagor Arcidiavolo”, una novella scritta da Niccolò Machiavelli in età giovanile, nella quale si narra che i giudici degli inferi decisero di inviare un emissario sulla Terra, affinché sperimentasse le pene del matrimonio. In realtà, essi volevano scoprire perché tutti i dannati spediti nel regno di Plutone, addossassero regolarmente alle mogli la colpa della loro rovina.

A differenza dei film americani, dunque, nella condizione coniugale il lieto fine non è assicurato. Anzi, al contrario.

Ciononostante, la gente continua a cascarci da secoli, se non da millenni, e per costrizione, oppure ancor peggio per libera scelta, si caccia in imprese matrimoniali che il più delle volte si rivelano disastrose o, quantomeno, squallide.

Riflettendo sulla stranezza del fenomeno, Giovanni Verga era giunto alla conclusione che: “Il matrimonio è come una trappola per topi: quelli che sono dentro vorrebbero uscire e gli altri ci girano intorno per entrarvi”.

A dare ascolto a Montaigne, per un buon matrimonio bisognerebbe accoppiare una cieca con un sordo.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.