Portofino Coast, estate 2008 primavera 2009


Non solo Poeta

L’attività letteraria di Camillo Sbarbaro, fra prosa e poesia; i contatti con altri personaggi di cultura; fedeltà e amore per la Liguria; tre ricordi: Portofino, Rapallo, Paraggi.

Camillo Sbarbaro, figura di spicco nel panorama culturale ligure del Novecento e famoso soprattutto per la sua attività poetica, collaborò a riviste letterarie quali “La Voce”, “Lacerba”, “La Riviera Ligure” e, fugacemente, alla terza pagina de “La Nazione” e di altri quotidiani. Stimatissimo da Carlo Bo e Italo Calvino, ebbe modo di incontrare Soffici, Papini, Campana, Rosai. Fu inoltre amico di Montale, che gli dedicò le prime pagine di “Ossi di seppia” e, in “Caffè a Rapallo”, tracciò di lui un ritratto commovente.

Nacque a Santa Margherita Ligure nel 1888 e morì a Savona nel 1967, vivendo quasi sempre in Liguria. In “Rimanenze”, nel 1955, così dipinge la sua terra: “Scarsa lingua di terra che orla il mare, / chiude la schiena arida dei monti; / scavata da improvvisi fiumi; morsa / dal sale come anello d’ancoraggio; / percossa dalla fersa; combattuta / dai venti che ti recano dal largo / l’alghe e le procellarie / — ara di pietra sei, tra cielo e mare / levata, dove brucia la canicola / aromi di selvagge erbe. Liguria, ! l’immagine di te sempre nel cuore, / mia terra, porterò, come chi parte / il rozzo scapolare che gli appese / lacrimando la madre. (…) Marchio d’amore nella carne, varia / come il tuo ciel ebbi da te l’anima, / Liguria, che hai d’inverno / cieli teneri come a primavera./ Brilla tra i fili della pioggia il sole, / bella che ridi / e d’improvviso in lacrime ti sciogli.”

Per la sua regione Sbarbaro provò insomma un attaccamento profondo, quasi una tenera gratitudine di fronte a tanta consolante bellezza. Con occhio poetico e pennellate di parole tratteggiò memorabili vedute dei luoghi a lui più cari. Talvolta anche in prosa. Mescolando al suo raffinato lirismo, annotazioni di costume e un’ironia graffiante, un po’ sullo stile di Longanesi, Flaiano, Mino Maccari. Curiosando qua e là nell’opera omnia dell’autore, abbiamo scelto tre di queste “cartoline del cuore”.

La prima immagine è contenuta nella raccolta “Scampoli”, del I960: “Portofino è in questa piazzetta acciottolata; chi vive qui, almeno una volta al giorno vi compare. Le fan ala, svolgendosi in continuazione come scenari, case colorate in sordina e botteghe a riparo di portichetti. L’incanto di quest’angolo è che il treno non lo tocca; così poco basta alla nostra pigrizia per sentirci fuori dal mondo; scanzonati, leggeri come ragazzi che han marinato la scuola. Qui il condannato dalla civiltà all’impiccagione del colletto, non contento di scamiciarsi, si scalza. L’astemio vi beve l’acquavite in bicchieri comuni; l’uomo-cervello si muta in pianta su questi scogli: Portofino resta, in un’aria di irrealtà, l’unica scappatoia, la parentesi aperta nel grigio delle abitudini, più necessaria alla vita della finestra la stanza.”

Il secondo “panorama narrativo” è inserito in “Trucioli 1914 -1918”:

“Dall’umido della notte che stagna sul golfo in vapore, Rapallo all’alba emerge, lustro arcipelago di tetti. Si sfanno sotto le acquate di maggio gli ultimi festoni di glicine. Si respira nell’aria, acidetto, l’odore del fieno novello. Gli uliveti salgono i colli, simili a greggi da tondere. A notte, la campagna bruna e calda sprizza lucciole.”

L’ultima fotografìa di paesaggi, anche interiori, è tratta invece da “Trucioli 1920 – ‘28”:

“A Paraggi talora mi rifugio e nella felicità d’essere pescatore.

Il mare! A nominarlo, entra nei miei pensieri, folata che forza un’imposta. Accorro sulla spiaggia dove la rete deposita il suo carico d’argento vivo. Nella barca che approda nottetempo spio il bruno ammasso che palpita e traluce. Gli abitanti del mare! Ingombranti alcuni; labili altri come schiuma, minuti come conterie. Le loro fogge, i loro colori! E le giogaie sommerse! i salsi giardini! le foreste d’alga! i roveti di corallo! Meraviglie che gli occhi si chiuderanno avanti di toccare. Ma questo variare della superficie già mi basta. Il mare parla più alto dell’uomo e copre con la voce il ronzio dei suoi inutili pensieri. Una canna basterebbe alla mia felicità e uno scoglio a Paraggi. Paraggi, golfo d’ombra, baia di pietra verdone. Irritato contro le scogliere che l’addentano, anche in bonaccia il mare vi brontola, schiaffeggiando la magra spiaggetta. In disparte sta l’abitato per non turbare con le sagome tremolanti il lucidissimo specchio che la vegetazione delle rive abbuia. Avrei una stanza piena di mare. Camperei del ricavo della pesca scottato sulla brace. Oh, ecco la canna sullo scoglio, riposante esistenza! In luogo di pensieri si avvicenderebbero nel mio capo occhi di sole, luccichio d onde notturne…”

Ecco. Semplici frammenti di vita. Che grazie alle parole di Sbarbaro hanno però conservato intatto il loro carico di emozioni. Sino a qui, sino a noi, a distanza di decenni. Del resto Sbarbaro ha sempre avuto la passione dei ricordi. In “Fuochi fatui 1940 – 45’’ scriverà: “Nessuno è così diseredato da non avere nella sua vita un giorno, un’ora che ricorda con rimpianto. Più del modo di schizzare da un astro all’altro, io cercherei quello di riscattare dal tempo e mettere in serbo quel giorno, quell’ora per poterla rivivere prima di morire (ma, ahi, nuova come la prima volta.)”


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.