Portofino Coast, 12 agosto 2005


12 agosto 2005

Michele Cascella è considerato il pittore di Portofino. Le prime tele dedicate al borgo. I giudizi critici. La sua personalissima concezione di arte. Attrazione fatale: Cascella e Portofino.

Ho veduto Cascella nel suo mondo prediletto, a Portofino, dove tutto è predisposto per magnificare la prodigalita’ della natura: rocce, piante, acque; tutto è folto, intenso, profondo. E bello. Pericoloso paesaggio, fitto di tentazioni. Ma Cascella non teme la bellezza moltiplicata. Anzi se ne bea. E lì, a Portofino, si sente un po’ come il direttore di una grande orchestra, che provi piacere a equilibrare gli elementi più disparati.

“Cascella non tralascia nulla, la natura, il piacere di questo pittore. E più la natura è rigogliosa e smagliante e più Casceìla la ama.” Questa una riflessione suggerita dal critico Angioletti, nell’introduzione alla monografia su Cascella edita da Hoepli nel 1942.

Ma diamo ora la parola a Michele Cascella: “Oggi è il giorno di Pasqua del 1968. Non posso non ritornare, col ricordo almeno, a Portofino, dove mi recai la prima volta proprio il giorno di Pasqua del 1934. Portofino mi affascinò a tal punto, mi colmò di tante e tali emozioni, che non riuscii a concludere niente, durante quella prima visita. ”

L’annotazione è contenuta in Forza zio Mec, volumetto autobiografico redatto dal pittore durante i suoi soggiorni statunitensi e pubblicato da Garzanti nel 1969.

A partire poi dal 1938, Michele Cascella frequenta Portofino con maggior assiduità e, sin da allora, fa di questo borgo incantevole uno dei soggetti preferiti delle sue opere e, pittoricamente, fra i più felici.

A Portofino, Cascella trascorre anche i primi anni della Seconda Guerra mondiale, mentre dal ’43 si trasferirà a Garessio, in Piemonte.

“La guerra – ha sottolineato il critico Giuseppe Bonini – non interrompe l’attività di Cascella, che documenta i suoi spostamenti ritraendo i paesaggi delle località che attraversa. Il nucleo più consistente di dipinti è comunque dedicato a Portofino e ai suoi dintorni. Rare però sono quelle vedute d’insieme della baia che, in seguito, diventeranno tanto note da costituire, quasi, una cifra di riconoscimento. L’artista preferisce soffermarsi sui dettagli, su un angolo di giardino, un tratto di costa, su di una casa in riva al mare. ”

Intanto gli anni passano e Cascella si mantiene fedele a Portofino.

Da un altro passo del già citato Forza zio Mec.: “Non c’è orizonte (proprio con una “z” sola)’’: con questa sola frase Giorgio De Chirico commentò e demolì Portofino. Era l’estate del 1958. Sapevo che si trovava a Rapallo, ospite di amici, e lo pregai di farmi visita. Portofino, con mia grande sorpresa, e delusione, non gli piacque: “Portofino è chiusa e, appunto, senza <orizonte>” disse. Allora ero in costante adorazione di Portofino. Malgrado la conoscessi da anni ormai fin nei suoi più nascosti particolari, Portofino continuava a parlatami e a ispirarmi.” Verso Portofino, Cascella dimostra un attaccamento granitico, duraturo.

Il critico Bonaventura Calore, sulla Fiera Letteraria del 28 novembre 1971, a tale proposito noterà: “Il suo amore per Portofino è un amore tormentato, come sono le passioni più vive. Sin dal primo momento in cui vi pose piede, egli si sentì come plagiato dalla sua singolare bellezza. Ci venne quarantanni fa, Portofino si presentava agli occhi di Cascella come una cartolina, una splendida cartolina con la sua piazzetta aperta sul mare, senza traffico di auto, quasi tagliata fuori dalla vita moderna. E proprio, su questa viva cartolina, Cascella si esercitò, e lo fece con maggior amore e lena, in quanto non vedeva una sola Portofino, ma mille Portofino.

Egli ha avuto il merito di averci offerto un’immagine di Portofino in felice e festosa chiave impressionistica, la più indicata a esprimere l’incanto del luogo, tanto che ci riesce impossibile vedere oggi Portofino se non con gli occhi e la tavolozza di Cascella.

Cascella è divenuto, in effetti, “il pittore di Portofino”, come già aveva notato il critico Georges Pillement, già nel 1958.

D’altronde è anche vero che “Michele Cascella è uno di quei pochi artisti che risvegliano in noi la nostalgia del Paradiso Perduto”, parola di Giorgio De Chirico. Sul potere evocativo della sua pittura si sofferma anche Vittorio Sgarbi: ”È difficile sottrarsi al fascino di Michele Cascella, difficile sottrarsi al fascino dei suoi quadri azzurri e infiniti, perché lui insiste su diversi luoghi comuni della nostra psicologia e della nostra cultura. Certo noi vediamo ciò che sappiamo, ma la forza dell’arte è la conservazione dello stupore nel quotidiano e noi restiamo stupiti di fronte ai risultati di Cascella. Guardiamo e troviamo un mondo che in qualche modo ci appartiene. Ciò che preme a Cascella è evocare, alludere a un intero mondo con limpidi frammenti di visione, smuovere stratificazioni di pensieri ed emozioni sepolte, o forse mai a noi appartenute, ma che egli ci fa credere nostre. Questo è il potere di seduzione, di incantamento delle immagini: che si radicano dentro di noi come se ci fossero sempre state.”

Il tema del rapporto fra emozione e arte ritorna altresì nel commento del critico Paolo Levi, espresso in occasione di un’antologica del pittore allestita a Montecarlo nel 1988: “L’opera di Cascella è inscindibile da questo rapporto intimo che egli intrattiene con l’emozione, con l’istante irripetibile di cui è documento. E questo istante è arte, miracolosa coincidenza di abilità e intuizione, sapienza e fantasia. Michele Cascella sembra abbia la capacità di riprodurre a piacere tali evanescenti equilibri, è questo è il suo grande traguardo, come artista e come uomo.” Lasciamo però che a illustrare la propria concezione dell’arte sia lo stesso Cascella, pescando qua e là fra i suoi scritti: “Dietro gli aspetti delle cose io vado cercando la vita di un sentimento che le possa vivificare dall’intimo. Quando ho trovato, dipingo…. La mia pittura non è frutto di nessuna strategia cerebrale, ma la semplice espressione delle mie più intime sensazioni. Forse è per questa ragione che non ho mai provato il bisogno, la necessità di cercare, se non dentro me stesso…

La mia pittura, che si ostina a esprimersi in una lingua che è la mia, m’allontana sempre più dai colleghi contemporanei che fanno della modernità un mezzo e un fine. La difficoltà è riuscire a parlare un linguaggio comune a tutti, normale e semplice. Esprimersi con mezzi semplici, rispettare la natura, ricordarsi gli aspetti tecnici pur restando padrone della propria espressività, permette all’artista di conservare intatta la sorgente dell’emozione e quella della creatività. È così che la pittura comunica con la gente d’oggi e resterà in relazione con quella di domani. Oggi la mia pittura può piacere o non piacere e solo il tempo potrà giudicare. Mi pare che proprio Gaugain dicesse che non ha importanza se un pittore debba fare l’arte per l’arte o per piacere al pubblico, purché sia arte.”

Di fatto la verità è che: “Per molti, Cascella è un pittore incompreso, al punto che su di lui la stessa critica italiana ha, si può ben dirlo, una conoscenza del tutto o in gran parte errata”, a sostenere questo fu Carlo Carrà, nel 1925.

Gli fa eco il critico d’arte Giuseppe Bonini: “A un evidente successo delle esposizioni di Cascella, non corrisponde un’altrettanto lucida e attenta analisi critica del suo lavoro.”

Più grave la conclusione cui giungerà un altro critico, Maurizio Fagiolo dell’Arco: “Cascella ha avuto illuminazioni e lampi di genio. Come è accaduto ad altri artisti, una sorta di maledizione si è accanita su un pittore divenuto sconosciuto perché troppo noto.” O forse, invece, ad azzeccarci fu Dino Buzzati? che su Cascella la pensava così: “Aveva marciato attraverso il liberty, il dada, il futurismo, il cubismo, il novecento, l’espressionismo, l’astrattismo, l’informalismo, il pop eccetera e non ne ha riportato la minima scalfittura… I suoi sono quadri fuori di ogni corrente e di ogni moda, hanno raggiunto una specie di classicità.” Quella classicità ariosa, splendente, serena, che dai suoi quadri di Portofino sembra appunto emanare. E chissà che proprio in questo dono consista il suo messaggio.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.