Malinconia: Senza rimedio


Ci sono persone che nascono con la malinconia di vivere, e non c’è nulla che possa guarirle. Si tratta di un evento cui non c’è rimedio, come accade per la bruttezza o per la stupidità. In alcuni momenti, la malinconia è più lieve: in altri, invece, si fa più acuta e dolorosa. Quante volte ho tentato di arginarla, eluderla o ignorarla. Quante volte, al contrario, mi ci sono abbandonata con sollievo, quasi con voluttà. E quante volte l’ho fuggita con terrore, consapevole del suo elevato e seducente contenuto di morte. Quante volte, poi, ho invidiato quelli che vivono in superficie, in un territorio ove le ferite profonde non vengono infette. E quante altre volte la vista di quei poveretti mi ha provocato una pena immensa o un risentimento irrefrenabile.
Chi è dotato di una sensibilità eccezionale funziona come un radar dalle antenne potentissime, condannato a captare senza tregua segnali che lo trapassano come lame. Se un essere così, oltretutto, è tormentato da una razionalità onnipresente, lucida e coraggiosa, da una spinta interiore che lo costringe ad analizzare tutto, sempre e in continuazione, allora la sua esistenza si trasformerà facilmente in un confronto quotidiano con la sofferenza.
Una miscela tanto esplosiva, presenta d’altronde alcune scappatoie possibili: basterà una giusta dose d’ingegno, perché spuntino l’artista o il poeta; oppure una razione di fede tanto forte da forgiare il mistico o il credente; o un pizzico di demenza, infine, capace di garantire al folle il suo mondo privo di logica. Il dolore e il male non scomparirebbero comunque. Ma, in questi casi, la vita avrebbe se non altro un senso assoluto o un non senso assoluto: la pazzia, infatti, solleva l’uomo dall’imbarazzo di capire; mentre l’immortalità dell’opera d’arte e l’amore in Dio lo aiutano a trovare delle risposte. Quelli come me, purtroppo, non conoscono il conforto della fede, né la gioia di aver partorito un capolavoro, e neppure la consolazione dell’ignoranza o dell’insania mentale. Ecco perché le mie vacanze nel rifugio della frivolezza non durano che pochi istanti. La malinconia è come un dolce supplizio, una tortura che mi è inflitta persino in quei rari momenti in cui – almeno teoricamente – mi sarebbe concesso di conoscere la felicità piena.
Sono intrappolata senza scampo nelle sue spire e non ho altro modo di sfuggire a questo strazio che quello di andarmene per sempre. Tuttavia, ho deciso di restare. Forse, per la curiosità di capire se, in fondo, una soluzione esista.
Cosi, intanto, vivo: nella passione m’illudo di confondere i confini della mia solitudine; nell’amicizia inseguo il miraggio di una comprensione totale e dolcissima; in un mare immenso, profondo e trasparente vorrei annegare le mie ansie e le paure; nell’ironia trovo il dono nascosto di una realtà dai contorni sfuocati; con l’erotismo gioco a uscire da me stessa, anche solo per un po’; la penombra mi offre la serenità incontaminata dell’utero materno; nei miei sogni mi balocco con altre me stessa, negli studi di cosmologia tento di placare la mia sete d’infinito e di eterno; le letture mi regalano brani, emozioni e pensieri di vite passate; l’arte m’innalza al senso del sublime; la musica classica mi porta per mano dentro i misteri dell’universo; il vento forte mi trascina via, in luoghi lontani, ove la luce è più nitida e la percezione è più vera…
E, ogni tanto, mi chiedo: chissà se amando un altro essere molto simile a me, il vuoto di tanta malinconia finirebbe per aggravarsi oppure per regredire?


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.