L’Indipendente, 28 febbraio 1996


Leader si nasce, oratori si diventa

Gli oratori nati sono pochi. Parlare in pubblico è un’arte che richiede impegno e sacrificio. Ma i risultati possono dare grandi soddisfazioni. Politici, uomini di spettacolo, docenti, scienziati e capitani d’industria lo sanno bene. Eppure chiunque, nel suo piccolo, potrebbe trarre vantaggio da un uso meno sciatto del linguaggio e dalla capacità di ricorrere ad argomentazioni convincenti.

Nelle scuole medievali si insegnavano la retorica e la dialettica. Oggi, in compenso, viviamo in un’epoca in cui la comunicazione è tutto. E sempre più spesso può capitarci di essere chiamati a prendere la parola in situazioni che richiedono coerenza di pensiero e forza espressiva. Come regolarci in questi casi?

Ecco qualche piccolo trucco che può venirci in aiuto nell’arte del comunicare: come prima cosa occorre avere qualcosa da dire. E se le nostre saranno esternazioni dal contenuto intelligente, tanto di guadagnato per tutti. Tuttavia non conviene far affidamento su quanto suggeriva Catone: «Abbi le idee chiare: le parole seguiranno». Molto meglio, se si può, preparare il discorso in anticipo. La fase di stesura rende le intuizioni più limpide, gli spunti più copiosi, il ragionamento più stringente.

La ricerca dei fatti e la raccolta delle idee non deve venire condotta a casaccio. Va operata piuttosto tenendo presente un piano di massima. Se si appronterà una scaletta degli argomenti, si eviterà di far confusione e di accumulare materiale superfluo. Nel caso in cui si desideri richiamare l’attenzione sui punti nodali dell’intervento, tornerà utile la suddivisione in paragrafi. L’obiettivo dell’esordio è di accattivarsi la benevolenza dell’ascoltatore. Il rischio è quello di lasciarsi prendere dalla tentazione di “montare in cattedra”. Illuminanti, in proposito, gli ammonimenti di alcuni grandi. Galileo Galilei affermava: «Non si può insegnare niente: si può solo fare in modo che uno trovi le cose in se stesso». Alexander Pope sosteneva: «Insegnare come se non si insegnasse, proporre novità come dimenticanze.» E Lord Chesterfield asseriva: «Sii più saggio degli altri, se ci riesci, ma non andarglielo a dire.»

Il relatore che si trovi a esporre tesi del tutto personali dovrà anche mostrarsi capace di smontare eventuali critiche. Riguardo allo stile della narrazione, i diktat cui attenersi sono parecchi: optare per periodi brevi, sopprimere le parentesi, gli incisi, gli anacoluti, le rime involontarie, le doppie negazioni, gli aggettivi pleonastici e i giri di parole; stare alla larga dalle frasi fatte e dalle locuzioni burocratiche o gergali; limitare al massimo il ricorso alla costruzione passiva e all’uso di subordinate, vocaboli antiquati e termini astratti. E ancora: accompagnare i diversi passaggi logici mediante una scelta di congiunzioni o particelle appropriate. Da evitare come la peste, l’astrattezza del discorso e la monotonia dell’esposizione. Guai a essere dispersivi! Bisogna piuttosto sforzarsi di fornire dati sicuri e aggiornati e di renderli facilmente assimilabili. Infatti, una serie di esperimenti sulla memoria ha dimostrato che la mente di un soggetto normale ricorda circa un quarto di quello che ascolta. Tale percentuale può salire sino al 35%, qualora vengano impiegati sussidi audiovisivi, e si avvicina al 50%, solo se il relatore è un vero portento.

Nel processo di creazione del consenso, anche la voce riveste un ruolo di primaria importanza L’intonazione deve essere in linea con le emozioni da trasmettere e va modulata in maniera da suonare il più musicale possibile. Quanto alle pause, se ripetute con troppa insistenza, comunicano ansia e indecisione.

Ricordarsi sempre che le parole devono essere pronunciate in modo chiaro, così da risultare facilmente comprensibili. E, per chi avesse problemi di balbuzie, blesità, rotacismo e sigmatismo, nessuna paura: oggi tali difetti si possono correggere attraverso i corsi di dizione che aiutano a esercitare un adeguato controllo sulla respirazione.

Altro punto da tenere presente è il tipo di pubblico a cui ci si rivolge: vale la regola di limitare i termini specialistici, e se propio sono indispensabili, cercare almeno di spiegarli.

Per una buona comunicazione bisogna prestare attenzione al look. Oscar Wilde diceva: “Solo i superficiali non giudicano dalle apparenze.” Ecco perché l’abito va scelto con buon senso e indossato con disinvoltura. Occhio quindi all’eccesso di conformismo o di originalità nel vestire: bando perciò ai colori sgargianti e agli accessori che denotano poco gusto. Le scarpe più indicate sono quelle di linea classica, lucidate alla perfezione.

Un ultimo consiglio. Meglio far precedere l’esibizione vera e propria da una prova generale del discorso. Shakespeare diceva: “Il mondo è un palcoscenico e ogni uomo deve recitare, nel suo tempo, ruoli diversi”. Chissà, magari la nostra sicurezza potrebbe scaturire proprio dalla capacità di rendere più icastiche ed efficaci le nostre affermazioni.

Non è che un inizio. Ma quello che conta è avviarsi, il resto verrà. Goethe amava ripetere: “Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala. Ma fallo adesso.”


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.