Libero, 3 settembre 2008


Reperti fossili testimoniano che meduse simili a quelle attuali erano presenti ben prima del Cambriano, oltre 600 milioni di anni fa. E, se nel frattempo si sono modificate così poco, è forse perché erano già perfette in partenza, adattissime ad affrontare la sfida della vita. Non a caso tornano oggi a perseguitarci, più numerose e agguerrite che mai, causando un disastro ecologico, economico e sociale di vasta portata.

Quest’estate l’allarme è partito dalla Costa Azzurra e i media francesi – Le Monde e Libération in testa – hanno dato ampia risonanza al fenomeno che in un solo giorno, il 4 agosto, ha causato 500 chiamate urgenti alla Guardia Medica di Nizza per richieste di soccorso a bagnanti urticati.

L’esplosione demografica di meduse cui da decenni assistiamo impotenti rappresenta ormai una piaga planetaria, un flagello che dilaga nei mari del globo a qualunque latitudine, temperatura e profondità. E non dipende dal riscaldamento globale, né dall’inquinamento degli oceani.

Le grandi meduse, come Cyanea capillata, prediligono le acque fredde e gli abissi silenziosi. Rare quindi per noi le occasioni d’incontro. Altre specie, dedite alle crociere in superficie, si dimostrano invece un nemico temibilissimo per gli amanti del nuoto, e una calamità per l’industria della pesca. Qualche esempio? La Chironex fleckeri, tipica dei mari australiani, può fulminare un uomo adulto in tre minuti, e ha ucciso più dei famigerati squali. In Giappone, dal 1982, le reti del pescatori cedono sovente sotto il peso di Nemopilema nomurai, una medusa che può toccare i 250 chili.

Pelagia noctiluca – dieci, quindici centimetri di diametro, rosa/rossastra e altamente urticante – nel 1983, ‘84 e ‘85 ha seminato il terrore nel Mediterraneo. Nell’estate 2001 uno sciame di Rhopilema nomadica – penetrato nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez – è stato risucchiato dal sistema di raffreddamento di una centrale nucleare israeliana, bloccandone l’attività. Fra luglio e agosto 2007, in Spagna, ancora Pelagia noctiluca ha colpito più di sessantamila bagnanti. Un fronte compatto di meduse lungo quattordici chilometri e largo cinque – il 21 novembre 2007 – ha devastato gli impianti di acquicoltura per l’allevamento dei salmoni lungo le coste irlandesi.

Composte per più del 90% di acqua, le meduse sono invertebrati dal corpo gelatinoso a forma di ombrello, orlato da una frangia di sottili filamenti prensili e urticanti. Ne esistono migliaia di specie, di varie dimensioni, da quelle di pochi millimetri, ad altre davvero gigantesche, pesanti diversi quintali, con un ombrello che può raggiungere i tre metri di diametro e tentacoli che misurano fino a venti metri. Le cnidocisti (dal greco knìde, ortica), organelli cellulari contenenti il veleno che la medusa sprigiona all’istante se sfiorata dall’ipotetica preda, sono di norma collocate lungo i tentacoli o attorno alla bocca, sebbene in determinate specie compaiano pure sulla superficie dell’ombrello. Tutte le meduse sono velenose, benché non ogni veleno eserciti la stessa azione. Alcune meduse risultano infatti innocue (Aurelia aurita, Rhizostoma pulmo).

Pelagia noctiluca, comunissima nel Mediterraneo, provoca viceversa fastidiosi disturbi. Il dermatologo Bruno Mandalari del San Raffaele di Milano ci ha spiegato che se le dermatiti da medusa si limitano perlopiù alla zona del contatto, in soggetti allergici intervengono tuttavia reazioni orticarioidi assai dolorose, che talvolta persistono per settimane. Gli esiti cutanei – di tipo granulomatoso, cicatriziale, cheloideo, discromico – possono accompagnarsi a sintomi quali nausea, astenia e crampi muscolari. Un’avvertenza importante: la ferita non va sfregata, né sciacquata con acqua dolce. Meglio ricorrere all’ammoniaca, all’acqua di mare o all’urina. Da evitare gli impacchi freddi, poiché la tossina è termolabile. Qualora permangano frammenti di tentacoli adesi alla pelle, bisognerebbe rimuoverli con l’aiuto di uno strumento affilato, senza schiacciarli. L’utilizzo di emulsioni al cortisone viene di solito associato, soprattutto nei primi tre giorni, a una terapia orale a base di antistaminici, analgesici, cortisonici e calcio gluconato. Dopo un incontro ravvicinato con una medusa sarebbe comunque preferibile rivolgersi a un pronto soccorso.

Queste diafane creature, eleganti quanto moleste, si esibiscono in apparizioni sporadiche e imprevedibili. Nuotano mediante pulsazioni dell’ombrello, ma sono in grado di controllare un unico movimento: lo spostamento verso l’alto e verso il basso, lungo la colonna d’acqua. Altrimenti viaggiano lasciandosi trasportare dalle correnti, incapaci di contrastarle. Per la comunità scientifica internazionale, sprovvista di mezzi finanziari adeguati, non è dunque facile monitorare i flussi migratori o azzardare pronostici sui “picchi di abbondanza” di questo bizzarro rappresentante della fauna marina. E appunto con l’obiettivo di ovviare a tale carenza, la Commissione Internazionale per l’Esplorazione Scientifica del Mar Mediterraneo (Ciesm), in stretta collaborazione con Mare Vivo – ha creato una serie di osservatori nel bacino del Mediterraneo e promosso l’operazione “Occhio alle meduse”.

Chiunque avvisti una medusa nelle acque del Mediterraneo, è invitato a scattare una foto digitale e – specificando luogo e giorno del rilevamento – a inviarla all’indirizzo di posta elettronica di Ferdinando Boero dell’Università del Salento di Lecce, zoologo marino fra i massimi esperti in materia, incaricato di coordinare la ricerca in ambito italiano.

A lui abbiamo chiesto come si giustifichi l’attuale proliferazione di meduse. Interessante la risposta: «Piccoli e grandi pesci, falcidiati dalla pesca industriale, sono sempre meno abbondanti, e di conseguenza si riproducono a fatica. Perciò le meduse, sollevate dalle seccature della competizione, attingono alle risorse nutritive quasi in regime di esclusiva. A penalizzare ulteriormente la popolazione ittica, un’altra sciagurata circostanza: le già scarse uova e larve di pesci costituiscono una preda di cui le meduse vanno ghiotte. Triste destino insomma quello dei pesci moderni: noi umani mangiamo in quantità abnormi gli esemplari adulti, mentre le meduse ne divorano le poche larve in circolazione. Stretti così in una duplice morsa, i poveri pesci soccombono. E i mari si riempiono di meduse».

Molte specie di meduse, in una specifica fase dello sviluppo, assumono l’aspetto di organismi similari ai coralli – chiamati polipi – e si annidano sul fondo dei mari, formando colonie. Questi polipi generano poi meduse in gran quantità, che crescono, procreano, muoiono. E quando si riproducono danno origine ai polipi, seme di future generazioni. Una piccola medusa, chiamata Turritopsis, ha addirittura la facoltà di invertire il suo ciclo biologico. Anziché morire, ricombina le sue cellule tornando allo stadio di polipo. Come una farfalla che si mutasse in bruco. Inversione temporale? Formula alchemica per l’immortalità? Prodigio sovrannaturale? Questo misterioso congegno biologico, scoperto una decina d’anni fa dal professor Giorgio Bavestrello del Politecnico delle Marche, ricade ora nel campo d’indagine del professor Stefano Piraino dell’Università del Salento. Quali sono i meccanismi genetici che permettono alle cellule di riorganizzarsi con tanta astuzia, controllando il proprio sviluppo al punto da beffare la morte? Un giorno risolveremo l’enigma?

Intanto perché non consolarci con altre meduse immortali? Come quelle raffigurate nei mosaici romani del IV secolo ad Aquileia (navata centrale della basilica, scena di Giona) e a Piazza Armerina (Villa del Casale: stanza di Arione ). O ammirando la “Testa di Medusa” del Caravaggio agli Uffizi, le teste di Medusa affrescate da Annibaie Carracci nella galleria di Palazzo Farnese a Roma, “La testa della Medusa” di Rubens, al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Oppure contemplando la testa di Medusa inserita nel gruppo scultoreo del Perseo di Cellini collocato nella loggia dei Lanzi a Firenze. Potremmo altresì riscoprire il terribile fascino del mito di Medusa attraverso Euripide, Esiodo, Pindaro, Ovidio e altri, o rileggendo il IX canto dell’inferno di Dante. Oppure affidarci all’interpretazione in chiave psicanalitica suggerita da Freud in uno scritto del 1922 intitolato “La testa di Medusa”.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.