Il Giornale, 21 luglio 1998


Il poeta raccontato nel ’900: Lunga vita a Ovidio

Correva l’VIII anno dopo Cristo, quando Publio Ovidio Nasone, 51 enne, sbarcò a Tomi, piccola guarnigione romana sperduta nel Ponto Eusino, sulle rive del Mar Nero. Il poeta vi fu relegato per ordine di Augusto e lì morì una decina d’anni più tardi, sotto l’impero di Tiberio, senza esser riuscito a ottenere quella grazia che non aveva mai cessato di implorare. Le sue opere vennero bandite dalle pubbliche biblioteche, ma nemmeno questo smacco fu sufficiente ad arrestarne la vena letteraria.

Nei Tristia, il poeta si lamenta di abitare nell’ultimo lembo del mondo, in una terra lontana dalla sua, ove non vi è niente se non freddo, nemici, e l’acqua che si stringe in solido ghiaccio. I luoghi sono pieni di barbarie, di voci animalesche e di una paura che lo angoscia. Ovunque volge lo sguardo, altro non vede che lo spettro della morte. Quell’immagine di sé che Ovidio ha voluto affidare alle sue opere dell’esilio è stata ripresa e rivisitata in chiave romanzata da diversi autori del nostro secolo. In Una vita immaginaria (Nuova immagine editrice, ’78), il narratore australiano David Malouf confeziona un racconto nel complesso un po’ banale e condisce l’esilio di Tomi con l’incontro fra Ovidio e un ragazzo selvaggio, soffermandosi sulla profonda amicizia scaturita fra i due, simbolo forse involontario di quel travaso di culture avvenuto tra popoli civili e barbari. L’austriaco Christoph Ransmayr, ne II mondo estremo (Leonardo, ’95), costruisce una vicenda delirante e quasi illeggibile, in cui il morbo della metamorfosi finisce con l’intaccare ogni cosa, mescolando mito e realtà, fantasia e sogno, passato e futuro, in un incastro allucinato e infernale, dove la figura di Ovidio compare solo per un attimo e subito dopo sparisce nel soffio di un miraggio, risucchiata per sempre dentro la mente dell’amico Cotta. Più di recente, Bompiani ha pubblicato II diario di Ovidio, scritto dal romeno Marin Mincu e giocato in una prospettiva vagamente astorica. Le riflessioni apocrife del poeta esiliato – comunicate con un linguaggio troppo moderno per risultare del tutto convincente – si intrecciano qui all’amore per Aia, una sacerdotessa geta che coinvolgerà Ovidio in un destino di ascesi spirituale. E stato solo grazie a Dio è nato in esilio che il personaggio di Ovidio si è svelato però in tutta la sua strazione, dolcissima umanità. Questo indimenticabile capolavoro di lirismo, che verrà finalmente ristampato (uscirà prossimamente nella collana dei tascabili Bompiani), in passato venne pubblicato nel ’79 dall’Editrice Fogola e, ancor prima, dalle Edizioni del Borghese.

L’autore, Vintila Horia, nacque a Segarcea nel 1915, in quella stessa Romania che quasi duemila anni prima aveva ospitato l’esilio di Ovidio. Il viaggio dentro i ricordi e i patimenti di Ovidio corre parallelo alla storia dell’avvento di Cristo e l’esilio come status di esclusione per eccellenza fa da sfondo alla nascita del Messia. Fervente cattolico, Horia sembra insomma voler suggerire la tesi che non a caso Dio è nato in esilio. Ai suoi occhi di credente, la condizione di insopportabile tormento e totale privazione connessa all’esilio appare, in fondo, come l’humus ideale per maturare la fede, e per alimentarla. Hona parla per esperienza diretta. Durante la II guerra mondiale, ricoprì alti incarichi diplomatici per conto di Antonescu, il Maresciallo che fu a capo della Romania dal ’39 al ’44 e che manifestò chiare simpatie filotedesche. Quando sempre nel ’44 ebbe inizio nel suo Paese il regime comunista, Horia fu condannato a morte, ma riuscì a fuggire in esilio. Inizialmente raggiunse l’Italia dove strinse un intenso sodalizio con Giovanni Papini, dopodiché si trasferì in Argentina e quindi, nel ’53, tornò in Europa. Dapprima fu in Spagna e, in un secondo momento, a Parigi, dove legò con alcuni intellettuali dissidenti, anche romeni, come Cioran ed Eliade. Nel ’60, con Dio è nato in esilio. Vintila Horia avrebbe vinto il «Goncourt», il più ambito premio letterario di Francia. Dovette rinunciarvi, a causa della violenta campagna denigratoria montata contro di lui dall’Humanité, il quotidiano del partito comunista. Si ammalò, infine, proprio mentre si apprestava a tornare in patria, dove il regime che l’aveva osteggiato era finalmente caduto. Dimenticato dai media si spense a Madrid, nel ’92. In esilio, come Ovidio.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.