Costa Smeralda Magazine, febbraio 2005


Grazia Deledda. La formazione da autodidatta. Il premio Nobel nel 1926. Produzione letteraria e stile della grande scrittrice sarda.

La Deledda rappresenta la voce letteraria forse più originale e coraggiosa mai espressa in ambito sardo. Benché non sempre apprezzata dalla critica, nel 1926 ottiene il Nobel. Nasce a Nuoro nel 1871, da una famiglia della piccola borghesia.

A quell’epoca, in Sardegna, l’istruzione superiore era riservata ai soli maschi. Mentre i fratelli proseguono negli studi, la sua carriera scolastica si interrompe perciò già alle elementari. Alcune lezioni le vengono poi impartite da un professore regio che, per un certo periodo, fu ospite in casa d’una zia. Ma è per lo più da autodidatta che Grazia cura la propria formazione culturale. Attinge linfa dai libri scovati nella biblioteca paterna, fra cui la Bibbia, Fogazzaro, Poe, Carducci e, soprattutto, D’Annunzio. Scrive e pubblica sin da ragazzina, tentando persino qualche timida incursione nella poesia. Vastissima la produzione di novelle e racconti. Fra il 1899 e il 1920, i suoi romanzi migliori, caratterizzati da una vena di personalissimo verismo psicologico. Fra i più famosi: “Elias Portolu”, “Cenere”(dal quale fu tratto un film con la Duse), “Colombi e sparvieri”, “Canne al vento”, “Marianna Sirca” e “La madre”. In un secondo momento la Deledda si accosterà invece a moduli e istanze di matrice simbolista-decadente” (vedi “Il paese del vento”, del 1931). Un anno dopo la sua morte, nel 1937, uscirà “Cosima”, romanzo autobiografico. Sorprendentemente attuale, comunque, tutta la sua opera. Un gioco narrativo avvincente, quasi un giallo della mente e del cuore, ove destino e sventura insidiano di continuo i disegni degli uomini. Vicende intriganti, intessute con abilità e pathos, e cariche di suspence. Una scrittura modernissima. Pensieri illuminanti, dotati di un inconsueto spessore filosofico. Straordinaria forza evocativa delle immagini. Una sensibilità commovente, tormentata, impegnata a sezionare la morte, la malattia, la disperazione. Nelle schermaglie amorose, a prevalere sono gli approcci discreti, e i corteggiamenti velati, che deflagrano in passioni violente, fatali. Un romanticismo spesso tragico, eppure mai sdolcinato, dove l’eros è insieme fonte di estasi e perdizione. Personaggi dotati di autocoscienza e dunque dilaniati fra pulsioni istintuali e vincoli morali. La Deledda è maestra nel dipingere il castigo e il riscatto, la colpa, l’orrore per il peccato, e la necessità di espiare. Nutre un debole per il dubbio etico, esistenziale, che il più delle volte le appare insolubile. Ama mescolare religione e superstizione, Dio e demonio, tradizione e rivolta. Intuisce l’importanza dell’inconscio, si lascia affascinare dal potere della precognizione onirica, dalla magia dei presentimenti. Il mare, nei suoi quadri paesaggistici, si intravede solo in lontananza: piuttosto ci descrive un’altra Sardegna, le montagne della Serra Nuorese, luci e tramonti barbaricini, natura aspra e magnifica, specchio fedele, e suggestivo, di stati d’animo in costante, drammatico mutamento. Il finale tende a restare aperto, in ogni momento, a un’infinità di opzioni. Come nella vita.


Lidia Sella, giornalista, scrittrice, aforista, poeta. Ha pubblicato sette libri. Due con il Gruppo Rizzoli: Amore come, Sonzogno, 1999; La roulette dell’Amore, Bur, 2000. E tre sillogi, con La Vita Felice: La figlia di Ar – Appunti interiori (2011); Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente (2012); Strano virus il pensiero (2016). Nel 2019 ha dato alle stampe Pensieri superstiti con Puntoacapo Editrice. Nel 2020 è uscita con Pallottole, contro la dittatura dell’Uno OAKS Editrice.