La poesia è un atto creativo. A suggerirlo l’etimo greca, che rimanda al verbo pôiein, cioè fare, fabbricare, creare.
La poesia indaga infatti insoliti angoli dell’essere, aprendosi – persino nelle pieghe del quotidiano – a dimensioni di conoscenza inesplorata. Quasi che lo sguardo poetico, affidato alla parola, celasse in sé il potere di trasfigurare la realtà. Pensieri, emozioni e cose inanimate – se osservati attraverso il prisma della poesia – appaiono soffusi di una nuova luce, al punto che tutto sembra rigenerarsi, risvegliarsi, vivificato da fresca linfa.
La poesia resta comunque indefinibile. Basti considerare che talvolta essa affiora anche nella prosa. Inoltre, come ogni forma d’arte, è accettazione e insieme superamento della regola.
La spinta a scrivere scaturisce in me dall’urgenza di fissare – e trasmettere – riflessioni e sentimenti che di solito si affacciano alla mia coscienza già sotto forma di immagini. Illuminante, in tal senso, quella radice filologica di imago come “ciò che agisce dal profondo”, significato ricavato combinando imus = profondo e ago = agire.
Quando annoto intuizioni, stati d’animo, sogni, non faccio che rispondere a quel misterioso intreccio fra cuore, ragione e fantasia che si avvera nei momenti di ispirazione.
Forse per la mia formazione giornalistica, mi sforzo poi di risultare chiara, immediata, efficace, vagliando mille volte ogni voce, suono, sfumatura. Nel tentativo di garantire una comunicazione più aderente possibile al mio universo interiore. Pur nella consapevolezza che in qualunque modo la parola imprigiona.